Psicosi delle 4 e 48 - di Sarah Kane

Testo Sarah Kane
Con Anna Zago
Scena e regia Giorgio Fabbris
Aiuto Regia Lanfranco Santacaterina e Katy Knoll
Tecnica Ezio Zonta
Musica Morton Feldman

 

Sarah Kane
La drammaturga Sarah Kane, prima di lasciare volontariamente la vita a soli 28 anni, ha la forza di scrivere per il teatro, per il pubblico, per noi, le sue sensazioni, emozioni, turbamenti, passioni e angosce scaturite anche da periodi di forte depressione.
È disperata, però ha ancora un appiglio sicuro: il suo teatro, così prima di abbandonare la vita, prima di suicidarsi scrive una pièce sul “male di vivere”; ma lei vuole che il suo atto d’amore e morte ci sia comunicato attraverso il teatro, vuole che ci venga recitato perché in fondo questo rimane il suo mezzo per continuare a “vivere”.
Sarah ci ha lasciato qualche cosa di profondamente vero e vivo proprio perché in lei c’è amore assoluto, violento, pericoloso, sempre ai confini con la morte, morte che lei cerca e trova, ma che magicamente il teatro con ‘Psicosi delle 4 e 48’ vanifica, rendendo flagrante, effettiva la “vita” di Sarah Kane ogni volta che il suo dramma viene messo in scena con amore e tremore.

 

Regia
‘Psicosi delle 4 e 48’ (il titolo allude all’ora notturna che secondo le statistiche è il momento di maggiore attrazione verso il suicidio) è il dramma che conclude la breve ma fondamentale esperienza teatrale di Sarah Kane. La drammaturga conclude anche la sua vita, suicidandosi subito dopo aver terminato un’opera sconvolgente, difficile, quasi insopportabile, e nonostante ciò messa in scena in molti teatri in Europa e non solo. Ora Anna Zago, con la regia di Giorgio Fabbris, affronta questo testo, questa avventura. Sarah Kane però non ha lasciato indicazioni pratiche per la realizzazione di Psicosi delle 4 e 48; questo ha prodotto un numero spropositato di soluzioni stravaganti talvolta con accattivanti ambientazioni Pop per ottenere positivi giudizi dal pubblico …
… La mia preoccupazione è stata quella di evitare soluzioni effettistiche data l’assoluta potenza del testo, il quale prevede professionalità attoriali che in Anna Zago raggiungono eccellenti performance espressive, adoperate ora per “trasmettere” al pubblico angoscia per l’imminente “matrimonio con la morte” di Sarah Kane, insistentemente preannunciato nel testo. Anna Zago, evitando il virtuosismo stucchevole, ha rispettato l’amore che aveva Kane per il regno della parola. In uno spazio angusto ed enigmatico Anna Zago cercherà di essere una e trina: Zago, Kane e Parolacorpo. “Tutte le immagini sono interne alle parole” scrisse Sarah Kane a proposito di questo testo.


CAMERA CON CRIMINI - CON SERGIO SGRILLI

di Sam Bobrick e Ron Clark
con Sergio Sgrilli, Corinna Grandi e Aristide Genovese
regia Piergiorgio Piccoli
musiche Sergio Sgrilli e Alessandro Gallo
produzione Teatro de Gli Incamminati
in collaborazione con Theama Teatro
foto Alice Mattiolo

 

L’intera vicenda si svolge all’interno della stessa camera di un Hotel, in tre momenti nell’arco di  due anni, e vede come motore dell’azione Arlene, confusa e combattuta tra la stabile routine col marito Paolo, venditore di automobili banale e “grigio”, e la forte passione per l’amante Michele, dentista belloccio e presuntuoso. Nessuno dei tre riuscirà ad affermare con dignità la propria natura, né riuscirà a farsi amare per ciò che di autentico lo rappresenta, per cui tutti ricorreranno a gesti estremi che tenteranno invano di compiere. Questi improbabili crimini, che avranno come vittime designate in sequenza il marito, l’amante e infine la moglie, li renderanno consapevoli del labile confine tra amore ed odio e della necessaria interdipendenza del loro triangolo. Una commedia frizzante, ricca di colpi di scena e situazioni paradossali nel progressivo scambio di ruoli: da tradito a carnefice, da amante a vittima, da idolo a morituro. Il continuo susseguirsi di situazioni esilaranti e cambi di prospettiva invitano implicitamente lo spettatore a riflettere sui suoi stessi legami sentimentali. Chi di noi può sentirsi davvero sicuro della persona con cui divide i propri giorni e di conoscere la sua vera natura?

«Apriamo le porte al buonsenso, all’autocontrollo e al divertimento:  la risata  è una  cura  per tutti  i mali dell’ umanità»

Prima o poi ognuno di noi ha sentito nascere dentro di sé, almeno una volta nella vita o per una frazione di secondo, ciò che chiamiamo “istinto omicida”, ovvero il desiderio irrefrenabile di sopprimere un altro essere umano. Qualcuno si è addirittura divertito a premeditare, in un eccitante esercizio di fantasia, l’omicidio di una persona conosciuta: l’amico traditore, il coniuge soffocante, il parente rompiballe, il vicino di casa maleducato, il capufficio tirannico, il politico arrogante, il collega lacchè o l’automobilista deficiente. Il fenomeno si è acutizzato maggiormente durante questi ultimi tempi di convivenze forzate e segregazioni domiciliari, ma il divertimento nell’immaginare tutti i passaggi di un piano diabolico può essere utile e liberatorio per alleggerire la tensione accumulata. I moventi possono essere svariati, primi fra tutti la passione, la gelosia, il rancore, l’invidia, la collera, l’avidità, la vendetta. Purtroppo, in quest’epoca folle, qualcuno passa dal pensiero all’azione, ma questa storia non sfocia in uno degli orribili fatti di cronaca che a volte incupiscono i notiziari e i nostri cuori: qui non siamo nella realtà ma nella fantasia; qui attingiamo dalla realtà per sgretolarne gli aspetti peggiori, per ridicolizzarla, per cacciare i demoni e dare il benvenuto ai folletti. Apriamo quindi le porte al buonsenso, all’autocontrollo e al divertimento, che hanno sempre la meglio sugli impulsi distruttivi: la risata è una cura per tutti i mali dell’umanità. Camera con Crimini infatti vuole far ridere sonoramente della violenza repressa, dimostrando come la distanza tra commedia e tragedia è, il più delle volte, brevissima, e come sia più semplice, in teatro e nella vita, optare per la seconda. Basta una piccola deviazione al momento giusto e si può convertire l’ineluttabilità della catastrofe nella ridicolaggine della farsa. Ironia e buon umore sono irriducibili nemici della collera, per cui vi esortiamo a cancellare ogni rancore, almeno per la durata dello spettacolo.

SERGIO SGRILLI è autore, musicista, cantautore, comico, attore. Ha vinto premi, attraversato teatri, locali, piazze e cortili con i 5 spettacoli scritti da lui. Ha partecipato al Tenco, al programma di Cochi e Renato su Rai Due “Stiamo lavorando per noi”, ha fatto uno speciale su Canale 5 con L. Sposini e U. Galimberti ed è stato due volte alla festa del Primo Maggio a Roma. E poi ancora tv, radio e spot. Ha scritto e interpretato il brano “Canto”, sigla finale di tre edizioni di Zelig. Dal 2000 al 2006 ha partecipato a tutto ciò che è Zelig in tv e live. Torna a Zelig nel 2009. Il suo primo lavoro cantautorale, “Dieci Venti d’Amore”, viene pubblicato nel 2012.

CORINNA GRANDI attrice di inclinazione comica, un ibrido tra cabaret, stand up e poesia, approda in tv dopo un bel po’ di gavetta, fino a partecipare a Zelig nelle edizioni tv del 2012, 2013, 2021, 2022 e 2023 oltre alla partecipazione a Le Iene, nel 2022, con un estratto del suo spettacolo di stand up “Io che odio solo te – and f**k you Mrs Maisel”.


LE BRONTË sorelle di brughiera

coproduzione Theama Teatro e Teatro Scientifico/Teatro Laboratorio

di e con Isabella Caserta e Anna Zago

La storia delle celebri sorelle Brontë, Charlotte, Emily ed Anne, donne controcorrente, strane, rivoluzionarie e anticonvenzionali. Morte tutte prematuramente, hanno saputo consegnare ai posteri un contributo importantissimo, non solo per la letteratura mondiale.

Il loro spirito e le loro parole hanno trovato eco anche nel secolo a seguire, ispirando sempre più giovani donne, che in loro hanno trovato un simbolo di libertà, intelligenza e di autoaffermazione.

Queste giovani sorelle cresciute tra il vento gelido della brughiera dello Yorkshire, pur vivendo come monache di clausura, sono state tutto ciò che di più trasgressivo, indecoroso e scandaloso l’Inghilterra vittoriana potesse immaginare.

Nasce così, dall’oscurità di una stanza senza candele, la forza di una scrittura che gratta il vuoto apparente e fa emergere una vita segreta, che ha il rumore di una tempesta.


PPP PIG BAND - dal porcile all'orgia di Pier Paolo Pasolini

IN COLLABORAZIONE CON LA LYDIAN SOUND ORCHESTRA

Storie non sempre amene, raccontate da tre attori, un’orchestra jazz e un corvo appollaiato su un ramo, che riflette sull’esistenza.

 

testi Pier Paolo Pasolini

con Anna Zago e Paolo Rozzi

e con Lydian Sound Orchestra

diretta da Riccardo Brazzale

 

Nelle opere di Pasolini – che qui si tributa nel centenario della nascita – sono ricorrenti temi come la diversità, la volontà di scandalo e l’opposizione all’incedere dell’omologazione del pensiero e dei costumi.

Il distacco e l’umorismo sono fondamentali, perché segnano l’unica modalità che l’autore poteva utilizzare per affrontare temi così drammatici, così come il linguaggio poetico, necessario per cristallizzare l’orrore. In un continuo intreccio fra realtà e invenzione, offriremo un catalogo dei peccatori dell’epoca di Pasolini, che poi è anche la nostra: i conformisti, i volgari, i cinici, i deboli, gli ambigui, i paurosi, gli autoritari, i sadomasochisti, i lotofagi e sì, anche gli antropofagi. Il tutto accostato alla musica jazz, che con quel suo linguaggio pieno di strappi, di assoli capaci sia di melodica persuasione che di ribollente energia, di ritmi e poliritmia in controtempo, ne rispecchia temi e simbolismo. Il tutto con un’orchestra al meglio del suo repertorio e del suo sound peculiare.


LA SCUOLA DEI MARITI E DELLE MOGLI - Molière

da ‘La scuola dei mariti’ e ‘La scuola delle mogli’ di Molière
rielaborazione drammaturgica Piergiorgio Piccoli
con Paolo Rozzi, Anna Farinello, Aristide Genovese, Piergiorgio Piccoli, Gilda Pegoraro, Anna Zago
scenografie Franco Sinico
costumi Roberta Sattin – Sartoria ‘Il monello’
disegno luci Claudio Scuccato
foto Davide Carpenedo
produzione Theama Teatro

“La scuola dei mariti e delle mogli è una girandola in libertà tanto brillante quanto vorticosa che il copione e la regia di Piccoli mantengono su un ritmo continuo, affidandosi alla verve dei baldi interpreti. Risate e applausi a profusione per un autentico gioiellino” (Giornale di Vicenza)

“Metafora sulle convenzioni sociali, critica alle diverse ipocrisie e falsità dei personaggi, e molto altro in questi due testi di Molière rielaborati e uniti in un unico spettacolo. Molière è sempre Molière, e lo zampino di Piccoli non fa altro che aggiungere con un tocco drammaturgico personalizzato, ma sempre rispettoso dei temi di fondo, elementi completanti. Che vanno a sommarsi alla visione molto ironica dell’autore francese, leggera e intrisa di battute comiche che il regista adegua al nostro tempo: che alla fine non è certo poi tanto diverso dallo storico. Si insiste così sulle battute, e sui difetti ancor più evidenti di ogni singolo personaggio, ricavandone una messa in scena molto divertente e molto ben gradita al pubblico presente” (Sipario.it)

Tratto dai capolavori “La scuola dei mariti” e “La scuola delle mogli”, di cui il primo è in qualche modo la prova generale del secondo, peraltro insuperato per ciò che riguarda il brio dell’intreccio e la straordinaria invenzione farsesca. Entrambe le commedie, così simili da essere considerate l’una la riscrittura dell’altra, sono geniali nel trattare in chiave comica lo scacco della volontà umana di fronte all’imponderabilità del reale, soprattutto nei sentimenti.

Le due famose commedie s’intitolano ‘Scuole’ perché vorrebbero ‘insegnare’ agli spettatori una visione di sé stessi più ironica e, di conseguenza, più sana. La nuova produzione di Theama Teatro coglie tutti i migliori aspetti dell’intreccio delle due opere e li collega alla nostra quotidianità, ottenendo così una metafora universale delle convenzioni relazionali e sociali riferite al genere femminile e a quello maschile. Il concetto di “tradimento”, elemento costante e quasi immancabile di ogni genere di commedia in ogni epoca, qui torna nell’immagine arcaica e materica, oltre che surreale, delle “corna”, elemento visibile e imbarazzante che nessuno vorrebbe mai ostentare sul capo. Si crea quindi un gioco teatrale che scherza, attraverso questa antica metafora, sul tema dei contrasti di coppia, mettendo in evidenza le differenze di costumi e comportamenti che connotano anche i conflitti del mondo contemporaneo.

La storia è un meccanismo perfetto, semplice nel susseguirsi delle scene, facilmente adattabile ad un’epoca e ad un luogo indefinibili. Aristide e Lello allevano due ragazze senza genitori nell’intento di farne le loro spose, ma solo il primo, più vecchio, tratta la sua amata dandole fiducia e concedendole libertà riuscendo a conquistarne i sentimenti. L’altro, tirannicamente severo, complice anche l’ingenuità indotta con le sue restrizioni, vede invece la sua donna diventare preda di un giovane e romantico corteggiatore. Nell’opera, che vive soprattutto della comicità di Lello, contrapposta alla lungimiranza di Aristide, sono stati individuati echi della biografia dello stesso Molière, che si accingeva in quell’epoca a sposare Armande Béjart. L’abilità dell’uomo di comprendere a fondo la psicologia femminile, incarnata da Aristide ma anche dal giovane Valerio, si contrappone quindi alla vecchia visione del rapporto di coppia dell’ottuso Lello, che ci offre uno spaccato di come la fragilità dell’uomo e l’incapacità di relazionarsi con l’altro sesso possono sfociare in atteggiamenti rigidi, anche violenti e, nel nostro caso, totalmente ridicoli. Anche l’intuito, la velocità di pensiero, oltre alla grande intelligenza emotiva delle figure femminili, sono un elemento fondamentale per rendere questa commedia ancora più attuale e, a suo modo, elastica nell’interpretazione e nell’analisi dei generi e delle alchimie generate dal rapporto fra sessi e su come l’educazione sentimentale degli uomini, ma più in generale l’educazione alla relazione, sia necessaria per sostenere la crescita, l’indipendenza e la solidità delle donne, pilastro portante di ogni comunità.


RUZANTE! TE LO DICO

con Aristide Genovese

e con Daniele Berardi (per il progetto Goldoni 400)

regia Aristide Genovese

spettacolo selezionato per la rassegna itinerante  Il Teatro Viaggiante,
nell’ambito del progetto Goldoni 400, nato per celebrare i 400 anni del Teatro Goldoni di Venezia,
promosso da Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale, Circuito Multidisciplinare Regionale Arteven, Comune di Venezia e Regione del Veneto
main sponsor Intesa Sanpaolo

Il 15 agosto 1521, Angelo Beolco detto “Ruzante” si reca con Alvise Cornaro, suo mecenate e “datore di lavoro”, presso il Barco di Altivole, ex residenza di Caterina Cornaro (ultima regina di Cipro), per un grande ricevimento dato in occasione della visita del cardinale Marco Cornaro, vescovo di Padova dal 1517 mai fisicamente insediatosi nella diocesi patavina.

L’occasione è ghiotta per andare a reclamare la presenza del vescovo a nome di tutta la città di Padova. Ruzante non se la lascia scappare e il giorno di Ferragosto pronuncia davanti al cardinale una mirabile orazione, chiamata poi Prima Orazione, che negli anni, alla prova scenica si è rivelata un magistrale monologo teatrale.

Al porporato Ruzante descrive le bellezze del contado pavano (i possedimenti del vescovado), ne esalta la lingua e le bellezze femminili e, con iperboli ardite, richiede al cardinale (in modo alquanto rivoluzionario per l’epoca) il mutamento delle leggi canoniche che regolano la vita dei contadini. Oltre a ciò l’Oratione intendeva soprattutto proporsi come polemica contro la sterile erudizione accademica, attraverso l’uso di un linguaggio, quello dei villani, che rifaceva il verso alle pompose orazioni che qualche giorno prima le autorità padovane avevano rivolto al Cornaro stesso.

Nel cinquecentenario di questa orazione civile, Theama ripropone l’Orazione, ma con una visione moderna, quasi contemporanea, con un linguaggio addolcito rispetto alla stesura originale e con il contributo sulla scena di una voce “accademica” che in sinergia rappresentativa con l’attore sul palco, riporta una serie di precisazioni e curiosità sull’orazione, per ricontestualizzarne la forza evocatrice civile e teatrale. La prima Orazione viene integrata con estratti da i dialoghi ruzantiani, da “la lettera all’Alvarotto” e dal “prologo per le recite in Pavana” de La Betia”. I testi a corollario completano la descrizione della poetica ruzantiana e conferiscono alla produzione un carattere ora drammatico ora scanzonato, fornendo una panoramica completa sulla visione di Angelo Beolco relativamente alla vita, alla società, ai costumi, agli uomini. Un’operazione artistica che restituisce dignità al teatro ruzantiano e nello stesso tempo ne aumenta la comprensibilità senza svilirlo nell’uso della lingua, motore sublime del repertorio di uno dei drammaturghi che hanno rivoluzionato il teatro moderno.


IL TEATRO COMICO - CON GIULIO SCARPATI

di Carlo Goldoni

adattamento e regia Eugenio Allegri

con Giulio Scarpati

e in ordine alfabetico

Grazia Capraro, Aristide Genovese, Vassilij Mangheras, Manuela Massimi, Solimano Pontarollo, Irene Silvestri, Roberto Vandelli, Anna Zago

scene e costumi Licia Lucchese
video arte e suono Alessandro Martinello
aiuto regia Alessia Donadio

produzione PPTV e Teatro Stabile del Veneto

PPTV (associazione costituita da sei realtà produttive professionali venete: Ensemble Teatro Vicenza, Pantakin da Venezia, Tam Teatromusica, Teatro Scientifico/Teatro Laboratorio, Theama Teatro, Tib Teatro), ideatrice del progetto, ha al suo attivo l’organizzazione di “Sguardi”, Festival del Teatro Contemporaneo Veneto, che si è svolto in ogni città sede di una delle compagnie PPTV: Vicenza, Venezia, Padova, Verona, Belluno.

“Il Teatro Comico”, la prima delle 16 commedie nuove che Carlo Goldoni scrisse a partire dal 1750 per l’impresario Medebach, è un testo metateatrale (in scena una compagnia impegnata nelle prove di uno spettacolo) estremamente moderno nella sua concezione, esempio di teatro nel teatro da cui emergono gli intenti della riforma goldoniana. In un periodo critico come quello che stiamo attraversando, la scelta di questo testo invita a una riflessione sul mestiere dell’attore e sulle sue difficoltà, sul teatro e sulle sue poetiche.
I produttori teatrali professionali veneti, riuniti in PPTV sono imprese venete di produzione che da decenni svolgono un importante lavoro sul territorio. In un momento in cui molte realtà teatrali si sono fermate a causa dell’emergenza sanitaria, PPTV risponde alla grave situazione causata da Covid 19 facendo squadra per la creazione di un progetto produttivo unitario e condiviso che vede coinvolte tutte le sue strutture. Con questo progetto dal significativo titolo “6X1” PPTV intende, in un momento di grande difficoltà per il settore della produzione, tutelare il lavoro dei suoi associati costruendo un esempio di buona pratica attraverso un’esperienza che unisce non solo i singoli produttori, ma anche le loro risorse in un percorso produttivo unitario che rappresenta un unicum originale e inedito nel panorama regionale.
Ai sei produttori si aggiungono l’importante collaborazione con il Teatro Stabile del Veneto che partecipa come coproduttore e il sostegno della Regione Veneto.

Note di regia
Avere oggi l’opportunità di mettere in scena “Il teatro comico” di Carlo Goldoni, significa poter approfittare di un’occasione storica. Dico questo per tante ragioni: perché con esso si può mostrare in forma di teatro l’esempio prezioso e antico di un dibattito pubblico laico, pratica andata disgraziatamente perduta dalla fine del ‘900; perché si può calcolare con buona approssimazione l’inizio del rinnovamento di una certa problematica relativa ai linguaggi della comunicazione sociale collegata a quella della espressività teatrale; perché si registra la testimonianza epocale della irrinunciabilità del teatro nella società; perché si riafferma lo spettacolo teatrale, che sempre si produce attraverso un complesso e laborioso sistema di analisi, di studi, di princìpi, di regole, di esperimenti insomma di teorie da un lato e di faticose e lunghe pratiche applicate dall’altro, quale fatto semplicemente e immancabilmente gioioso, anche nel pieno del tormento, anche quando fuori
dai teatri ci si trovi a convivere, malgrado o no, con le catastrofi; infine perché rappresenta una svolta culturale in quanto è la scena a riflettere su di sé e non lascia ad altri il compito di farlo, dato che, nei veri momenti di svolta, niente e nessuno può parlare a nome di altri o in altra forma.
Succede allora che un testo pochissimo rappresentato sulle scene contemporanee, si riproponga quale moderno classico contemporaneo all’attenzione di teatranti e di spettatori e felicemente ne unisca le sorti: tanto più il teatro infonde negli attori nuova linfa vitale quanto più la società riesce a trarre dal teatro alimento ricostituente.
Il fatto è che a noi teatranti non basta che il teatro esista in quanto tale e in quanto tale rappresenti o dialoghi con altre realtà. Occorre che, oltre a mantenere intatta la sua indole evocatrice e premonitrice, esso costringa continuamente ognuno di noi, attori, drammaturghi, registi, artisti figurativi e coreutici a misurarci con la novità, a non interrompere mai la ricerca, lo studio, l’approfondimento dei contenuti e delle forme, senza dimenticare che poi bisognerà sapere come verificare gli esiti, preservare i risultati acquisiti e tracciare i futuri destini della nostra stessa esistenza.
Potrei elencare decine di ragioni per le quali l’indagine artistica e pedagogica, mi ha spinto a suggerire un’intonazione, a tracciare movimenti, a istigare gesti, a pensare a una certa luce, a condividere un’idea dello spazio scenico, dei tanti costumi, delle immagini astratte in quanto estirpate dunque estratte da altri confini e contorni a supporto di quelli della scena teatrale; potrei affermare senza alcun dubbio di credere ancora e sempre di più nella forza ancestrale delle maschere della commedia dell’arte, a credere che il fatto “comico” abbia bisogno della risata sonora del pubblico in sala e di quella silenziosa degli attori in scena, tuttavia, alla fine, so che ciò che conta veramente è quanto il pubblico capirà senza che io debba difendere per ogni tratto di strada i tanti passi allineati, le tante soste accumulate e i perché di quello o i perché di questo…..
Indico la mappa, poi però, come mi ha insegnato un grande maestro come Leo De Berardinis, la sfida del teatro nasce nel percorso, laddove l’incognita arricchisce il discorso, laddove senza alcuna spavalderia o arroganza si affronta il testo e se ne svela il contenuto. L’attore che sulla scena sembra imporre, in realtà propone.
Prendiamo atto che Goldoni, ne “Il teatro comico”, alla fine, diviene egli stesso un luogo e un tempo, al punto che la sua sostanza umana si rende essa stessa unità aristotelica, quella che l’antico filosofo ci chiede di rispettare qualora volessimo rinchiudere in pochi tratti il racconto essenziale delle nostre e delle altre vite legandole eternamente tra loro col filo solido e trasparente dell’invenzione poetica.
La cosa che va considerata profondamente in Goldoni è la testimonianza di quanto lui e la sua Venezia rappresentino la stessa entità. E tuttavia egli, vittima delle derisione di tanti suoi concittadini della sua epoca, avvezzi al potere e dediti a sfruttarne la parte meschina, sceglie di risponde alla derisorio col comico, all’umiliazione con l’ironia, alla meschinità con il genio ludico.
Il “comico” diviene necessario non nel teatro di Plauto, non nelle corti medievali dove prolificano i giullari bensì agli albori della trasformazione borghese della società. Come l’ Arlecchino bergamasco, catapultato suo malgrado nella laguna veneziana attraverso il battesimo dell’acqua, smarrito dal nuovo mondo e abbandonato quello vecchio, che non può fare altro che dichiarare arditamente “Audace fortuna juvant…con quel che segue”.
Chiudo con le stesse parole che il Goldoni, del nostro “Teatro comico” rivolge alla platea chiudendo la giornata di prove della sua compagnia: “Oso pensare signori miei che, in futuro, qualsiasi sorte toccherà a questa nostra meravigliosa Venezia, a questa straordinaria nazione italiana, anche di fronte alla più terribile delle catastrofi, entrambe non vorranno mai rinunciare al teatro, a comprenderne la necessità per coloro che lo animano ma anche per coloro che ne fruiscono, per rinnovare l’occasione che ogni artista ha di procurare ristoro allo spirito degli uomini se mai questi dovessero smarrirlo e a propria volta smarrirsi.
E se è pur vero che sinora il teatro ha per lo più comparato se stesso con il mondo, non vi è dimostrazione migliore delle peripezie affrontate in questa nostra giornata di lavoro, simile a quella di tante persone che vivono in questo nostro tempo, per poter dire con certezza a noi stessi e ai nostri pregiatissimi uditori che non vi è più bisogno di comparazione, non vi è più necessità di somiglianza, e non vi è più finzione che non sia essa stessa verità, poiché il nostro teatro non solo si pregia di mettere sulla scena il mondo, il nostro teatro, signori, è, il mondo.” (Eugenio Allegri)

Giulio Scarpati
Sale sul palco a soli 12 anni e il teatro rimarrà una costante della sua vita professionale. Lavora tra gli altri con registi come Aldo Trionfo, Antoine Vitez, Gianfranco De Bosio, Ermanno Olmi, Elio De Capitani, Massimo Castri, Maurizio Scaparro, Gigi Dall’Aglio, Pietro Garinei, Alessandro Gasmann, Nora Venturini, passando dai classici al teatro contemporaneo e anche alla commedia musicale con “Aggiungi un posto a tavola”. Ci piace ricordare “Orfani” con Sergio Fantoni, “L’idiota” di Dostoiewskij, “Oscura immensità“ testo di M. Carlotto e i più recenti ”Una giornata particolare” tratto dal film di Ettore Scola e l’ultimo spettacolo “Il Misantropo” 2019. Anche il cinema lo vede protagonista nel 1989 in “Roma, Paris, Barcellona” con cui vince il Premio “Sacher” come Miglior Attore. Nel 1994 con “Il giudice ragazzino” ottiene il Premio “Efebo d’oro” e il Premio “David di Donatello” come Miglior Attore Protagonista. Ricordiamo tra gli altri “Pasolini un delitto italiano” con la regia Marco Tullio Giordana, ”Chiedi la luna“ di Giuseppe Piccioni e “Mario, Maria e Mario” di Ettore Scola.
In televisione lo ricordiamo in “Resurrezione” dei fratelli Taviani, “Cuore” regia Maurizio Zaccaro, “L’ultima pallottola” di Michele Soavi, “L’uomo della carità – Don Luigi Di Liegro” regia di Alessandro Di Robilant, “Cugino e Cugino” di Vittorio Sindoni, “Fuoriclasse 2” con Luciana Littizzetto… e naturalmente lo ricordiamo protagonista di “Un medico in famiglia” nella fortunata serie.

Eugenio Allegri
Partecipa al suo primo stage di commedia dell’arte tenuto in Italia nel 1978 da Jacques Lecoq e si diploma nel 1979 alla Scuola di Teatro “Alessandra Galante Garrone” di Bologna. Come attore inizia l’attività professionistica con i “Dialoghi” di Ruzante diretto, in Italia, da Francesco Macedonio e Jacques Lecoq. Nel 1981 partecipa allo spettacolo del Teatro Stabile di Torino “L’opera dello Sghignazzo”, scritto e diretto da Dario Fo. Dal 1982 al 1984 entra a far parte del Tag Teatro di Venezia, la più importante compagnia italiana di Commedia dell’Arte, diretta da Carlo Boso: con la maschera di Arlecchino sarà in tournée per due anni in tutta Europa. Nel 1986 é chiamato da Leo De Berardinis per partecipare a molti dei suoi spettacoli, ultimo sarà “Ha da passà ‘a nuttata” dall’opera di Eduardo De Filippo, Premio UBU come miglior spettacolo italiano del 1990. Nel 1994 Alessandro Baricco scrive per Eugenio Allegri “Novecento”: lo spettacolo, diretto da Gabriele Vacis, diventerà in Italia un grande successo e da questo momento Allegri viene riconosciuto come uno dei più ammirati interpreti del teatro italiano contemporaneo, protagonista di innumerevoli ed importanti produzioni di prestigiosi teatri nazionali quali il Teatro Stabile di Genova, il Teatro dell’Archivolto, l’ERT Emilia Romagna Teatro e di straordinarie performances di solista sia di testi classici che contemporanei. Parallelamente all’attività di attore, Allegri sviluppa l’attività di drammaturgo e regista scrivendo e dirigendo tra il 1986 e il 1997 scenari di commedia dell’arte per alcune giovani compagnie italiane. Nel 1998 è regista del “Re cervo” di Carlo Gozzi, prodotto dal Teatro Stabile di Venezia e negli anni successivi mette in scena o interpreta testi di Molière, Beaumarchais, Bertold Brecht, Peter Weiss, Giovanni Testori e adattamenti da Primo Levi, Dino Buzzati, Umberto Eco e altri grandi scrittori italiani. Nell’ottobre 2017 debutta al Theatre de Renelaghe di Parigi “La parole du silence” di e con Elena Serra, di cui Allegri è regista.
Nel frattempo, l’8 giugno 2016, erano iniziate a Torino le prove di “Mistero Buffo” di Dario Fo, di cui Allegri è il regista e Matthias Martelli il giovane interprete, per la messa in scena del capolavoro del grande attore italiano premio Nobel nel 1997. “Mistero Buffo” ha debuttato con grande successo alle Fonderie Limone di Torino il 6 febbraio 2018, prodotto dal Teatro Stabile di Torino. Nel luglio del 2019 debutta in “Nati sotto contraria stella” scritto e diretto da Leo Muscato con il quale due anni prima aveva partecipato a “Il nome della rosa”. Nella sua carriera Allegri ha preso parte a film,
a trasmissioni e sceneggiati televisivi e ha collaborato con molti musicisti di fama nazionale ed internazionale. Dal 2015 è direttore del Teatro Fonderia Leopolda di Follonica, in Toscana.


LA VESPA (The Wasp) - con Guenda Goria e Miriam Galanti

con Guenda Goria e Miriam Galanti

di Morgan Lloyd Malcolm

traduzione Enrico Luttmann

regia Piergiorgio Piccoli

produzione Theama Teatro

coproduzione Todi Festival

musiche Federico Pelle

video Massimiliano Zago

sculture Giovanni Grey Grigoletto

tecnica Siaidee di Claudio Scuccato

assistente alla regia Anna Farinello

un ringraziamento speciale per la foto a Giuseppe Gradella

debutto al Festival di Todi, XXXV edizione, il 31 agosto 2021

La Vespa è un thriller psicologico, caratterizzato da un linguaggio tagliente e diretto, per cui se amate i colpi di scena e i finali inaspettati è lo spettacolo giusto.

Così come la creatura da cui è ispirato il titolo, La Vespa non è affatto un testo garbato, bensì è una storia pungente, violenta, a volte divertente, spesso dolorosa. Un esemplare raro di quest’insetto avvelena la tarantola, la paralizza e depone le sue uova nel corpo della vittima. Essa diventerà ospite parassitario e incubatrice per la piccola vespa che, crescendo, ne mangerà poco a poco l’interno fino a quando non sarà pronta per uscire. Anche se non si corre il rischio di provare il dolore fisico provocato dalla puntura della vespa, o della stessa tarantola, si ritrova la stessa tensione per la sopravvivenza tra le due protagoniste. Ma la domanda è: chi è la vespa e chi il ragno?

Erica e Carla non si vedono dai tempi della scuola. Le loro vite hanno avuto dei percorsi molto diversi: Carla vive alla giornata, mentre Erica è una donna in carriera, con un marito e una bella casa. Sono in un bar, bevono tè e intrattengono una strana conversazione fino a quando Erica non esibisce una borsa contenente una considerevole somma di denaro: la ricompensa per un’inaspettata richiesta.

Da qui un dialogo serrato, tagliente; una tensione crescente che lascia lo spettatore senza fiato. Quanto conosciamo le protagoniste? Quanto il loro passato le condiziona nel presente?

La trama potrebbe, da qui, apparire inverosimile, ma la puntura de La Vespa non è tanto basata su cosa succederà, ma su perché succederà. Quale sarà il susseguirsi logico degli accadimenti? Ad un certo punto si può supporre di avere sufficienti informazioni sulla situazione delle due protagoniste e sulla loro storia, ma nel corso dello spettacolo, un po’ alla volta, ci rendiamo conto di avere solamente scalfito la superficie del loro vissuto.

L’amicizia tra classi sociali diverse, la realizzazione attraverso la maternità, il rapporto di coppia, la sessualità, sono alcuni dei temi che muovono la psiche delle due donne, e con i quali lo spettatore non potrà evitare di confrontarsi. Ed ecco poi apparire, nell’evolversi della vicenda, lo spettro dei disturbi mentali legati alla violenza domestica e l’abuso sessuale, in una dolorosa esplorazione dei modi in cui l’essere umano, riversando la propria sofferenza sull’altro, alimenta un ciclo perpetuo delle crudeltà reciproche.

Ripercorrendo all’indietro il filo rosso del cinismo, della frustrazione o dell’invidia, sarà evidente il riferimento esplicito al problema del bullismo giovanile, questa volta fra donne, e della violenza di genere all’interno dello stesso genere. Eppure, nelle differenze tra Erica e Carla, le due protagoniste, si intravede una breccia di speranza: la scelta tra gentilezza e violenza è sempre possibile.

Il dramma si svolge prevalentemente nel soggiorno borghese di Erica. L’equilibrio di forza e potere tra le due donne oscilla continuamente, confonde lo spettatore senza permettergli di schierarsi. Quante volte, in quanti modi, da quante persone una donna può essere violentata nella vita?

Le attrici Guenda Goria e Miriam Galanti, con la loro capacità di destreggiarsi fra tecnica e naturalezza, esplorano con perizia le diverse sfaccettature dei loro personaggi, inizialmente solo abbozzandoli attraverso stereotipi sociali opposti e dimostrando poi, verso la fine dell’opera, una sensibilità tale da far risaltare al meglio la complessità e la profondità delle due protagoniste, al punto da avvicinarle e renderle molto più simili fra loro di quanto mai si potesse immaginare.

La regia di Piergiorgio Piccoli si basa sull’essenzialità della messa in scena e sulla forza intrinseca del testo, valorizzando al meglio le capacità di immedesimazione delle interpreti.

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GUENDA GORIA

Artista poliedrica nel panorama italiano e internazionale.

Figlia d’arte si appassiona fin da piccola allo studio della musica, danza e arti sceniche. Diplomata al Conservatorio Verdi di Milano e Laureata in Filosofia Estetica, studia danza classica e tit-tap per dieci anni sotto la direzione della prima ballerina della Scala Anna Maria Bruno dopo qualche anno di attività concertistica internazionale (Shanghai international FestivalTrofeo Castro Alves di Salvodor de Bahia, Stati Uniti..) si appassiona alla recitazione, entra al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma sotto la direzione di Giancarlo Giannini e debutta a teatro con Maurizio Scaparro ne La coscienza di Zeno e al cinema con Roberto Faenza nel film internazionale in inglese Anita B.

Ha lavorato come attrice con grandi maestri come Matteo Garrone nel Racconto dei racconti, Pupi Avati, Gianfranco Pannone, Gerardo Placido, i Manetti Bross; nelle opere prime cinematografiche di Stefano Alpini nel Giocatore invisibile, Monica Mazzitelli in The coltrain code e Cesare Furesi nel film Chi salverà le rose? candidato a tre globi d’ oro e vincitore di numerosi premi internazionali, nelle fiction tv Il paradiso delle Signore, Un passo dal cielo, Giochi sporchi, Crimini e con giovani registi teatrali come Juan Puerta Lopes e Alberto Oliva nel Don Giovanni di Puskin.

Appassionata alla drammaturgia contemporanea teatrale esordisce alla regia con lo spettacolo Nel buio dell’ America co-prodotto dal teatro Litta di Milano dove mette in scena un testo di Joyce Carol Oates e inaugura un sodalizio professionale con la madre Maria Teresa Rutache qui interpreta una spietata conduttrice televisiva. Sodalizio che continua in Recitar Mangiando e in Sinceramente Bugiardi dove mamma e figlia recitano una accanto all’ altra con grande successo di pubblico e critica.

Debutta al Festival di Todi come assoluta protagonista nello spettacolo-concerto dove interpreta Clara Schumann: una delle pianiste più importanti della storia della musica, raggiungendo grande successo di pubblico e critica.

MIRIAM GALANTI

Miriam Galanti è originaria di Mantova, si trasferisce a Roma dove nel 2015 si diploma in recitazione al Centro Sperimentale di Cinematografia.

Si divide tra il teatro, la televisione e il cinema.

Sul palcoscenico tra gli altri è stata diretta da Marcello Cotugno in “Miracoli!”, da Francesco Frangipane ne “Il Misantropo” e da Marco Simon Puccioni in “After the end”. Per la televisione ha partecipato a fiction di successo come “Che Dio ci aiuti” e “Don Matteo” oltre a lavorare come inviata e conduttrice in vari programmi tra cui ad esempio la maratona di “Telethon”.

Al cinema ha recitato in pellicole come “5” di Francesco Dominedò, “Quando corre Nuvolari” e “Scarlett” diretta da Luigi Boccia nel 2017 di cui è protagonista. Nel 2019 è nel cast del film “In the trap” un horror psicologico di Alessio Liguori dal forte impatto emotivo ambientato in Inghilterra. Qui è l’unica attrice italiana, è la co-protagonista accanto a Jamie Paul (Black Mirror) David Bailie (I pirati dei caraibi, La casa di Jack) e Sonya Cullingford.

Ha partecipato a molti cortometraggi tra i quali il pluripremiato fashion movie “The good italian II” in cui è protagonista accanto a Giancarlo Giannini e “Belle bimbe addormentate” diretto da Dario Argento e presentato al Sitges Film Festival nel 2019. Ha ottenuto molti premi per la sua interpretazione in “Metamorfosi” sul tema del femminicidio, tra i premi spicca quello ricevuto al Festival del Cinema di Venezia nel 2014 “A new talent beyond”

Nel 2019 sempre la Festival del Cinema di Venezia riceve il Premio Kineo Guest Star. Nel 2020 da metà settembre ha condotto accanto a Dario Vergassola “Sei in un paese meraviglioso” in onda su Sky Uno e Sky Arte. Nel 2021 sempre su Sky Arte conduce “Dante, la visione nell’arte”.

MORGAN LLOYD MALCOLM

Drammaturga e sceneggiatrice inglese di successo, autrice di accattivanti personaggi femminili, predilige creare atmosfere in cui la donna è protagonista assoluta.  La possibilità di scoprire, per la prima volta in Italia, due personaggi femminili così ben disegnati nelle loro contraddizioni, è un’occasione da non perdere.

The Globe le ha commissionato Emilia diventato uno spettacolo acclamato dalla critica e dal pubblico nell’estate del 2018 e poi al West End nel 2019.  Nel 2020 Emilia ha vinto 3 Olivier Awards.

Tra alcune delle sue precedenti opere troviamo Belongings (Hampstead Theatre and Trafalgar Studios/West End ) e The Wasp, (Hampstead Theatre and Trafalgar Studios/West End).

Morgan ha anche co-scritto con Katie Lyons, opere site specific prodotte da Look Left Look Right, come You Once Said YesAbove and Beyond e Once Upon a Christmas. Ha fatto parte del team di scrittori per il Lyric Hammersmith’s pantomimes dal 2009-2012 e scritto Bolton Octagon’s Christmas per il 2013 e 2014.

Alcuni dei suoi lavori più recenti includono sceneggiature originali per Gaumont, storica casa cinematografica francese, e due episodi di una commedia per Merman Film. Morgan sta anche lavorando all’adattamento cinematografico di Emilia e The Wasp.


LE ASTUZIE FEMMINILI - La muger dell'ottoman

COMMEDIA BRILLANTE IN LINGUA VENETA

di Aristide Genovese

con Aristide Genovese, Piergiorgio Piccoli, Anna Zago, Daniele Berardi, Anna Farinello

regia Piergiorgio Piccoli

Siamo a Venezia nel ‘700. Madama Lucrezia con la serva Elisabetta sono costrette, dall’antiquario Gerardo, marito gelosissimo di Lucrezia, a stare rinchiuse in casa anche durante le celebrazioni del Carnevale. Gerardo è in viaggio d’affari a Padova, quindi, approfittando dell’occasione, Lucrezia e la serva attirano in casa con uno stratagemma l’ingenuo sior Tonin, follemente innamorato della vispa dama veneziana. Lucrezia, vedendo lo spasimante così innamorato e timido, lo deride garbatamente e ingaggia con lui una divertente scaramuccia amorosa. Alla fine il nobile Tonin riesce a fatica a dichiarare il proprio amore per lei, ma sul più bello irrompe Gerardo che torna da Padova con il suo ultimo acquisto, uno spadone del ‘500. Tonin, dopo essersi nascosto, subisce un pericoloso “scherzetto” di Lucrezia, che invita il marito a provare la lama dello spadone proprio dove il nobile aveva cercato rifugio. Tonin riesce, seppur malconcio, a fuggire, ma dopo un paio di giorni di convalescenza per la terribile paura, manda Giacomo, suo servitore, ad invitare Lucrezia al suo palazzo con la scusa di volersi scusare dell’accaduto e, nel frattempo, domanda anche a Gerardo di recarsi da lui con un pretesto. Marito e moglie sono così destinati ad incontrarsi in casa di Tonin, che in questa occasione il timido nobiluomo non si dimostrerà né impacciato nè ingenuo, ma trasformato in un uomo ironico e malizioso, in cerca di vendetta. Nel finale, ricco di sorprese e di comicità, Tonin e Lucrezia coroneranno il loro sogno d’amore, mentre le vie veneziane sono in festa per il Carnevale.


VELENO A COLAZIONE

COMMEDIA BRILLANTE IN LINGUA ITALIANA

di Emmanuel Robert Espalieu

traduzione Giulia Serafini

con Antonella Maccà e Matteo Zandonà

regia Piergiorgio Piccoli

Una coppia si ritrova a colazione all’inizio dell’ennesima domenica di una convivenza forse vissuta con troppa monotonia e troppa routine, dopo molti anni di matrimonio senza figli. Viene subito alla luce il tentativo assurdo ma determinato della moglie di sopprimere il marito con un potente veleno, che farà effetto entro il tempo di durata dello spettacolo. Da qui un’escalation di cattiverie, frecciatine e crudeltà, con l’incubo delirante del pericolo che incombe, dove la coppia manifesta i propri difetti, le fragilità e le contraddizioni, in un pericoloso duello tragicomico. Le dinamiche più contorte del matrimonio vengono sviscerate attraverso un umorismo spietato, feroce, graffiante e crudele. L’assurdità e il paradosso regnano sovrani fra i due, che si rinfacciano a vicenda gli episodi più insignificanti della loro vita di coppia e i reciproci errori, in un susseguirsi a raffica di divertenti colpi di scena fino ad un finale imprevedibile e davvero divertente.